Venerdì prossimo a Trento l'antropologo Bruno Bernardi terrà una lectio magistralis
L'identià nell'era globale. Ai confini dell'idea di altro. di DANILO FENNER
Il corso della storia non è mai lineare: procede a strappi e sussulti, come un vecchio filobus sgangherato. Oni tanto una buca, un salto, uno nodo improvviso. Il 1871, l'anno che vide concludersi la guerra francoiprussiana con la vittoria tedesca e che verrà ricordato come l'anno della Comune parigina, rappresentò per il filobus della storia - in particolare di quella inglese - un crocevia imparante. Mentre Darwin dava alle stampe The descent of man, e l'opera di Jules Verne Voyage au Centre de la Terre, veniva tradotta in inglese, Samuel Butler stava per pubblicare Erewhon, romanzo fantastico e satirico dove i malati vengono messi in prigione e processati, e le vittime sono considerate immorali (grandiosa metafora del mondo contemporaneo). Coincienze prive di un nesso logico, all'apparenza, tanto più che Darwin aveva già pubblicato On the origins of the species nel 1859 e il libro di Verne era disponibile in francese.
Ma c'era qualcosa nell'aria: un fermento, una vibrazione intellettuale. Fu che in quell'anno ,che vide la luce The origin of culture di Edward Burnett Tylor, il padre dell'antropologia culturale. Dopo quel libro, alcune cose non furono più le stesse. Parole come ''cultura'' o ''identità '', che prima venivano utilizzate con significati molto diversi rispetto a quelli attuali, entrarono nel lessico quotidiano rivestite di nuova luce.
Da allora, anche l'antropologia culturale non è più la stessa. Ma gli interroagativi di fondo che sir Tylor aveva arditamente cominciato a indagare rimangono sempre là . E chi si muove su questo terreno lo fa con la medesima meraviglia dei primi ricercatori di un secolo e mezzo fa. Con quello sguardo puro, che solo uno come Bernardo Bernardi, il grande vecchio dell'antropologia italiana, si porta ancora appresso. Come quando, fin da bambino, il suo mondo era tutto compreso - e ristretto - fra la via Emilia e il Po e lui, bolognese di nascita, si sentiva in via del tutto naturale un ''padano'', più che emiliano. Questione di terra, di nebbie e di radici, prima ancora che di sangue. ''Le ampolle sul Po e i miti non c'entrano niente'', racconta in un profluvio di parole (da grande affabulatore, non parla: racconta). ''Ci sentivamo padani perchè quelal era la nostra patria naturale''. Dal Po all'Africa il passo non fu nemmeno tanto lungo.
E gli anni passati a trudiare da vicino i processi sociali e culturali dei vari angoli del continente nero, dal Sudafrica al Kenia, hanno insegnato a Bernardi molte cose su identità , cultura, territorio, etnia. Le parole a cui sir Tylor aveva dato un'energica spolverata.
''Etnicità e identità culturali'' è anche il tema della lectio magistralis che Bernardi, invitato dalla Trento School of Management, terrà a Trento, venerdì prossimo in un incontro con Umberto Martini (direttore del Master of Tourism Management), Pier Maria Mazzola (giornalista ed ex direttore di Nigrizia) e Ugo Morelli (direttore del Master of Art and Culture Management). Un tema intrigante, specie per una terra, come la nostra, in cui i due concetti sono spesso andati a braccetto, e non sempre per una scampagnata allegra. ''Sì, mi rendo conto che da voi parole come etnicità o identità hanno un forte significato, legato alla vostra storia recente'' racconta ancora il professore, al quale facciamo notare che il titolo dell'incontro contiene un piccolo errore, a ben guardare... ''E' verissimo: il vocabolo ''etnicità '' non esiste, non compare neppure nei vocabolari più aggiornati. E pensare che è una parola molto usata oggi, non solo dagli studiosi''. Centoquaranta anni dopo Tylor e i primi antropologi culturali, i capisaldi della disciplina hanno ancora un suono nuovo, perfino estraneo ai dizionari. ''Il tennine però è antichissimo. Deriva dal greco etnikoi, che significava pagano. Compare nel Nuovo Testamento, indica coloro che non sono giudei'' Che cosa significa dunque etnicità ? ''Indica un modo di vederci, di rappresentarci, che viene dal passato. E' l'eredità lasciataci dai nostri padri''. Ancora più sfuggente il significato della parola ''identità '', oggi talmente entrata nell'uso comune che spesso ne perdiamo di vista il senso più profondo. A tal punto che viene perfino da chiederci: esiste dawero, l'identità ? ''Non nel senso di qualcosa fotografabile in un dato momento. L'identità muta continuamente, siamo noi che tentiamo di cristallizzarla in una scheggia temporale, ma un attimo non siamo più gli stessi di prima. É questo vale aniche a livello di intere còmunità ''.
Ride, il professor Bernardi, perché gli è venuta in mente una cosa che ha appena visto per strada. ''A Roma i muri sono tappezzati di manifesti elettorali di Alleanza Nazionale che recitano, a grandi lettere: ''La maggioranza è con noi''. Vede, oggi si ragiona per collettività . Tutto assume una dimensione collettiva. La gente, noi due,tutti i cittadini, siamo ''maggioranza''. Ma che senso ha parlare di identità di un popplo? Non c'è gruppo umano che non sia melting-pot, un incrocio di culture, di popoli, di radici. E con la globalizzazione, con l'espansione dei movimenti umani, del commercio, del turismo, tutto questo ha assunto una velocità inaudita''. Emerge il ritratto di un un'umanità mai ferma. ''Non lo siamo mai stati. Per natura, l'uomo è un migrante.
Cerchiamo continuamente di spostarci laddove le condizioni di vita siano più favorevoli. E' sempre stato così. Se comprendiamo questo, forse riusciamo anche a vedere con occhi diversi i grandi fenomeni di oggi, le migrazioni di migliaia di persone verso l'Occidente più ricco''.
Proponendo nel 1871 la prima definizione antropologica del termine cultura, Edward Burnett Tylor asseriva che nella misura in cui questa comprende ''tutte le capacità e i moduli di comportamento acquisiti dall'uomo in quanto membro di una società '', lo studio di queste capacità avrebbe consentito di risalire alle leggi del pensiero e dell'agire umano''. La formulazione ha un sapore presuntuoso, nella sua pretesa di scientificità , tipico dei saggi ottocenteschi. Ma la questione - se sia cioè possibile indagare l'identità di una comunità , e in quali termini, per quali vie è attualissima. Altrove, in Veneto o in Piemonte, per fare due esempi fra i maggiori, sono nati alcuni Centri di studio sull'identità locale, laboratori, musei. Bernardi trova ''molto utili'' i musei etnografici. Proprio un suo allievo, Cesare Poppi, ha collaborato con Fabio Chiocchetti per la progettazione scienifica del nuovo Museo ladino di Fassa, ha redatto testi etnografici assieme a Renato Morelli, è presente in comitati scientifici di istituzioni trentine. A proposito di Poppi - che insegna antropologia dell'arte africana a Norwick in Inghilterra, dove vive con la moglie, storica dell'arte, in un bellissimo giardino e veleggia con la sua barca Aegis - vale la pena ricordare una sua intervista al Corriere di qualche tempo fa, nella quale raccontava il suo personale ''debito di riconoscenza'' nei confronti del professor Bernardi: ''Tutto è cominciato venticinque anni fa, al distretto militare di Forlì, ero di servizio in guardiola, un freddo cane. Mi telefona il professor Bernardo Bernardi e mi dice che c'è un posto nel master di antropologia sociale a Cambridge. Mi avessero detto che c'era da andar sulla luna in bicicletta, avrei risposto sì, allo stesso modo. Sempre su consiglio di Bernardi, già che c'ero, ho fatto il dottorato. Poi sono stato due anni in Africa. Gli inglesi? Sono tanti e diversi. Quando non ne posso più vengo in Italia. Mi bastano tre giorni e poi mi passa. Grazie Italia per non avermi mai dato lavoro''. Tanto per ribadire, se mai ci fosse bisogno, in che modo ci lasciamo spesso scappare i cervelli migliori. Chiusa parentesi.
Belli i musei etnografici, dunque: però Bernardi trova anche pericoloso guardare solo al passato. «Per analizzare l'identità contemporanea, dobbiamo fare una cosa molto semplice: prendere parte attiva alla vita della comunità locale, immergerci nel flusso della quotidianità e dei suoi piccoli grandi riti, dalle feste private come i matrimoni o i battesimi, fino ai grandi eventi collettivi''. Significa guardare alla società senza i paraocchi del pregiudizio: etnicità senza il peso spregiativo dell'etnikoi greco. Termine che fu poi svuotato del significato originale, nei secoli, per essere riempito di quello odierno: i pagani, nel frattempo, erano divenuti tutti cristiani. Gli ''altri'' non c'erano più. Fino a questi ultimi anni, almeno.
Sta proprio qui, nella riscoperta dell'altro (l'extra, il fuori da: dalle metafore degli extraterrestri degli anni Cinquanta al dramma concretissimo, oggi, degli extracomunitari), il tratto distintivo di questa nostra epoca inquieta, mai ferma.