News/Approfondimenti > 14 novembre 2009

Dolomiti Unesco Recuperare lentezza per un turismo soft

Il futuro delle Dolomiti, patrimonio dell’umanità, è ad andamento lento. Al bando il turismo di massa e le seconde case. Ben venga, invece, un sistema di metropolitane. Un cambio epocale, una suggestione che Giuseppe Scaglione, docente di progettazione urbana alla facoltà di ingegneria dell’università di Trento, lancia al seminario sulle “Dolomiti, paesaggio e vivibilità in un bene Unesco” promosso dalla Provincia e svoltosi ieri in sala Depero.

L’architetto mette sul piatto dati concreti. Le Dolomiti sono «tagliate» da un corridoio, quello del Brennero, lungo il quale passa il 40% delle merci nazionali che scarica il 21% dell’anidride carbonica emessa nell’arco alpino. Da brivido. E il conferimento del riconoscimento internazionale che coinvolge cinque province può essere l’occasione per un cambio di passo. «E’ ora di finirla - afferma il docente - con l’assalto a Fort Apache, con l’accerchiamento del modello urbano ai Monti pallidi. Il che non vuol dire - prosegue - non costruire più ma, piuttosto, dirigere le energie verso un modello di turismo slow, lento, teso all’agriturismo e alla ricettività diffusa, al recupero dell’esistente, alla qualità architettonica, all’attenzione al paesaggio come forte ancoraggio alla realtà dei luoghi, in opposizione alla moda dei grandi resort». 

E come per le Dolomiti vale anche per tutto l’arco alpino. Perché, e sono sempre i dati che parlano a sufficienza, ogni anno sulle Alpi si ammassano 60 milioni di presenze, quattro volte di più della popolazione permanente, le seconde e terze case sono 590 mila, vuote per la maggior parte dell’anno. Nell’occhio del ciclone, in quanto esempi negativi, il paventato Grand hotel Marmolada welness sotto malga Ciapela nelle Dolomiti bellunesi (90 mila metri cubi, 100 appartamenti, 54 chalet, 248 stanze) ma altri casi riguardano il Trentino, l’ampliamento degli impianti sciistici, la distruzione della splendida val Giumela, l’orribile turismo low cost.

In precedenza, l’assessore provinciale all’urbanistica Mauro Gilmozzi aveva parlato di un lavoro «in rete» che riguardi, nella gestione del patrimonio mondiale dell’umanità, tutte e cinque le province coinvolte: Trento, Bolzano, Belluno, Udine, Pordenone. Ha anche sottolineato «l’importanza della centralità del paesaggio come identità di un territorio», ha sostenuto la necessità di fermare «un modello di tipo metropolitano sbagliato». Quasi un’autocritica, la sua, la volontà di imprimere un “balzo in avanti” sotto l’egida dell’Unesco.

Che però ha bisogno, questo è parso uno degli spunti forti emersi dal seminario, di una formazione e di un’educazione costanti per deterninare un cambio di mentalità diffusa, in primis orientata alle nascenti Comunità di valle. E la Provincia, per questo, si affida alla neonata Scuola per il governo del territorio e del paesaggio (Step), costola della Trentino school of management.

Il responsabile Ugo Morelli ha detto che è in corso la formazione dei “facilitatori”, e poi toccherà agli esperti del paesaggio, architetti e ingegneri su tutti.  «Perché il paesaggio - ha affermato - diventi la cifra dell’identità, affinché tutti si assumano la capacità di viverlo insieme alla natura e non contro».

Per contrastare anche gli appetiti speculativi che sono sempre dietro l’angolo e che diverse volte hanno prevalso, si può aggiungere. «Senza conoscenza, formazione e cultura - ha concluso Massimo Venturi Ferriolo del Politecnico di Milano - non c’è governo del territorio». Se tutte le parole di ieri troveranno concretezza, come richiesto a più voci, sarà il prossimo futuro a dinostrarlo, o meno.

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