News/Approfondimenti > 09 settembre 2005

Intervista a Paolo Borzatta, esperto di intenazionalizzazione ieri ospite della tsm. «Il sistema degli incentivi provinciali può essere un danno»

«Se le imprese non si globalizzano, in dieci anni Trento sparirà dall'economia che conta». di Davide Pelloso

TRENTO - «Se le aziende trentine non capiscono che devono competere a tutto campo e in tutto il mondo, Trento rischia di scomparire dalle carte geo-economiche in 5-10 anni''. Paolo Borzatta, consulente dello studio Ambrosetti e grande esperto di strategia aziendale e internazionalizzazione, spiega che l'economia trentina corre né più né meno il medesimo pericolo che incombe su tutta la realtà italiana. Ieri a Villa Bortolazzi per tenere la prima lezione del corso organizzato da tsm (Trento School of Management) sulla «Internazionalizzazione come scelta. strategica'', Borzatta ha illustrato opportunità e rischi del mercato globale.

Dottor Borzatta, in Trentino la tendenza ad internazionalizzare le imprese non è mai veramente decollata. Scontiamo la piccola dimensione delle aziende?

«Nella mia esperienza ventennale mi sono convinto che la dimensione è praticamente irrilevante. E una questione di visione. Molte piccole società sono andate all'estero, lì sono cresciute e sono diventate enormi, solo per ché il titolare aveva l'idea di andare su nuovi mercati. Certo, partire con un grosso fatturato può aiutare, ma non è assolutamente una condizione fondamentale» .

Che ruolo gioca in questo processo un sistema pubblico di incentivi?

«Non credo negli incentivi pubblici. Possono talvolta essere utili, ma spesso sono assai dannosi, perché come sempre drogano il malato. Significa dare il palliativo al degente grave, che quindi pensa di stare bene, e invece puoi muore. Semmai il pubblico ha il compito. dovere di diffondere queste informazioni. Compito che non è stato assolto. Abbiamo addormentato l'Italia con il sogno che ''piccolo è bello'' e che dobbiamo stare chiusi nei nostri distretti. Si tratta di una grave responsabilità della politica, a tutti i livelli».

Quindi un sistema come quello trentino, caratterizzato da una forte presenza pubblica, potrebbe avere nuociuto allo sviluppo di una cultura dell'iniziativa imprenditoriale?

«Non conosco perfettamente la situazione locale. Ciò che posso dire è questo: un sistema che potrebbe aver tenuto in piedi delle aziende nel passato grazie ad incentivi pubblici non ben mirati e non ben valutati, potrebbe aver reso ora a rischio quelle stesse aziende».

Quali sono le conseguenze, e come è possibile uscirne?

«Trento, ma potrei dire anche Milano, in 5-10 anni può scomparire dalla carta geo-economica del mondo se non ci svegliamo. E svegliarsi significa andare all'estero, competere a tutto campo in tutto il mondo. È ovvio che per farlo bisogna avere le capacità. È necessario sviluppare le adeguate competenze. Ma siamo di fronte a un bivio: o l'azienda diventa internazionale e ragiona in termini internazionali o siamo finiti. Il settore pubblico deve spiegare che il mondo è cambiato. Non si può continuamente vivere di rendita sperando che gli altri stiamo fermi».

Quale potrebbe essere una strategia vincente per il territorio trentino?

«È necessario avere un visione forte di ciò che si intende fare. Ora bisogna chiedersi: Trento quale centro d'eccellenza vuole costruire? Che ruolo vuole avere in Trentino, nel Nord-est, in Italia? Voi partite con alcuni asset. non piccoli, il Mart e l'Irst ad esempio; se Trento decidesse di voler diventare la capitale mondiale delle scienze cognitive, chiamando i più brillanti cervelli del mondo, cercando i più esigenti studenti della materia, credo che la città avrebbe forse le capacità e le risorse per raggiungere l'obiettivo. Evidentemente ciò significa investire nelle aziende, creare magari venture capital della Provincia con società che si occupano di scienze cognitive. Ma è un tracciato percorribile».

Anche in un'isola tradizionalmente felice come il Trentino, ora le imprese chiudono, e il ricorso alla Cassa integrazione straordinaria è aumentato del 500% in un anno. È coerente una politica di difesa del settore industriale?

«La difesa del manifatturiero, in sé considerata, è una sciocchezza. Dobbiamo creare aziende che producono valore aggiunto e impiegano la gente. Tutta quella che c'è. E che, possibilmente, ne facciano venire da fuori. Che poi producano bicchieri o divani, turismo, servizi, o qualsiasi altra cosa, è irrilevante».


La carriera


Ingegnere. Paolo Borzatta, 60 anni, è esperto di strategia aziendale e di internazionalizzazione. Si è laureato al Politecnico di Milano, è stato assistente al Cern di Ginevra.

In azienda cura progetti di internazionalizzazione dal 1982. È consulente dello studio Ambrosetti

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