News/Approfondimenti > 14 luglio 2006

Immigrate, lavoro difficile. Hanno un'istruzione migliore dei maschi ma anche minor accesso all'occupazione. Una su quattro giudica critico trovare un posto.

di Giovanni Pedrotti

TRENTO - Oltre il 23% delle donne extracomunitarie che risiedono oggi in provincia, quasi una su quattro, si dice in difficoltà per quanto riguarda l'accesso al lavoro. A fronte di questo dato, solo il 13% dei lavoratori stranieri di sesso maschile lamenta la stessa problematica. Nonostante un più alto livello di scolarizzazione delle donne rispetto agli uomini, ciò che emerge è un generale disinteressamento da parte dei datori di lavoro rispetto a titoli di studi e formazione professionale svolta nei paesi d'origine, ai quali sono preferiti di gran lunga, secondo gli immigrati, l'affidabilità (al 76%), la buona volontà (al 71,2%), la capacità pratica (al 63,7%) e la flessibilità (al 58,2%). Poco considerate, quindi, le esperienze di lavoro precedenti (richieste solo nel 36% dei casi) e i titoli di studio (al 22,9%), il tutto a discapito del 29,92% delle donne che hanno conseguito una laurea nel paese d'origine (contro il 12,36% dei maschi) e del 42,52% degli individui di sesso femminile che si sono precedentemente diplomate (gli uomini sono fermi al 42, 7%).

Sono alcuni dei dati emersi ieri, durante la presentazione dei risultati della ricerca del progetto comunitario Equal Pontest, svolta dall'Associazione temporanea Pontest (Trento School of management, Ente bilaterale per l'artigianato trentino, Camera di commercio, Itc e Università). L'indagine, operata su un campione di 223 lavoratori provenienti dall'Europa dell'Est, ha preso in esame le differenze tra lavoro nel paese di origine e occupazione odierna degli immigrati in trentino, le difficoltà di integrazione e di occupazione degli stranieri e le differenze tra la condizione degli uomini e quella delle donne.

Per quanto riguarda, poi, le prospettive future, quasi la metà delle donne (oltre il 45 % delle intervistate) spera di rimanere in Italia, a fronte di circa il 30% degli uomini (più propensi per un ritorno ne] paese d' origine). Dalla relazione, che si è posta l' obiettivo di «sondare il terreno» per la futura costruzione di un «ponte» tra Italia e paesi dell'Est, volto ad un incontro tra domanda e offerta di lavoro, è emersa anche un'insoddisfazione generalizzata per le scarse opportunità di fare carriera da parte degli immigrati, una priorità a «fare il lavoro che mi piace'' a scapito di un minor interesse per il salario, un'alta partecipazione alle attività di formazione da parte degli stranieri e un'aspettativa di maggior valorizzazione delle competenze dei singoli lavoratori per una crescente integrazione nel tessuto sociale.

L'indagine è stata presentata da Floriana Samuelli, ricercatrice del progetto Pontest come Giovanna Zanolla e da Sabrina Bellumat, del dipartimento di scienze giuridiche dell'università di Trento. All'incontro hanno poi partecipato anche Adriano Chinellato, direttore dell'Ente bilaterale dell'artigianato trentino, Antonio Chiesi, docente a Milano e Franco Lotito, presidente nazionale del Comitato di indirizzo e vigilanza dell'Inps. Attualmente in provincia risiedono circa 27 mila cittadini stranieri e le autorizzazioni all'ingresso dall' estero concesse nel 2004 sono state più di 14 mila, con un incremento del 10% rispetto all'anno precedente. Più della metà, quasi 14 mila soggetti, proviene da regioni dell'Europa centro orientale e tra questi circa IO mila e 600 sono individui in età lavorativa.

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