News/Approfondimenti > 17 luglio 2006

Indagine sui lavoratori e i datori di lavoro. Non se la passano male gli immigrati che lavorano in Trentino. Ma prevale il sottoimpiego

Il Trentino la nostra America

Non finiscono ridotti in condizioni di vera e propria schiavitù, anche con vigilanza armata nelle zone di lavoro e di riposo, come i polacchi portati in Italia da un'organizzazione transnazionaie - sgominata dalle forze dell'ordine - e sfruttati in lavori agricoli, soprattutto nel foggiano. Ma la gran parte degli stranieri arrivati dall'Est Europa in Trentina in cerca di occupazione paga comunque pegno: è molto forte infatti il divario tra le competenze possedute, frutto del percorso di formazione scolastica e delle precedenti esperienze lavorative nel paese d'origine, e i lavori concretamente svolti. La conseguenza? Insoddisfazione, che porta ben presto alla ricerca di una migliore condizione lavorativa e che genera spesso esclusione.

Ad indagare in profondità i processi di inserimento e integrazione dei lavoratori immigrati è la ricerca svolta da Pontest, associazione temporanea di imprese alla quale partecipano la Trento School of Management, l’Ente Bilaterale Artigianato Trentino, il Dipartimento di scienze giuridiche dell'Università di Trenta, l'Itc-Irst e la Camera di Commercio.

La ricerca conferma che gli stranieri hanno un elevato livello di scolarizzazione: quasi due terzi è in possesso di un titolo non inferiore al diploma e solo il 16% non ha proseguito gli studi dopo la scuola dell'obbligo. Le donne (soprattutto quelle provenienti dall'ex URSS) sono nettamente più istruite degli uomini: il 30% (contro il 12% degli uomini) ha un titolo di studio non inferiore alla laurea.

Quasi un terzo degli intervistati svolgeva nel paese d'origine lavori qualificati, di concetto quali l'impiegato (15%), l'insegnante (7%) e l'infermiere (5%). Sono le donne provenienti dall'ex URSS ad avere un passato di lavoro più qualificato:circa il 40% delle intervistate e circa il 40% delle persone provenienti dall'ex URSS erano impiegate, insegnanti o libere professioniste (ingegneri,architetti…).

Venendo in Italia, la situazione cambia. Il confronto tra il lavoro svolto nel paese d'origine e quello attuale è impietoso: la percentuale di impiegati è dimezzata, nessuno fa l'insegnante e il libero professionista, mentre sono aumentati i camerieri e i commessi; gli operai generici, i muratori e gli imbianchini e gli addetti al settore primario. In Italia gli immigrati svolgono anche professioni a loro del tutto nuove: badante, domestica. Aumentano quindi i lavori di tipo esecutivo e generico, si riducono drasticamente le professioni per cui sono necessari titoli di studio superiori (che gli immigrati spesso possiedono). Degli impiegati, meno del 30% ha mantenuto lo stesso lavoro, il resto fa la badante, la domestica, l'operaio. Metà di coloro che erano insegnanti fanno la badante o la domestica.

Gli immigrati intervistati sono relativamente soddisfatti del lavoro che stanno svolgendo in Italia,anche se la ricerca fa emergere la difficoltà per il migrante (anche se risiede stabilmente da più anni in Trentina) di valorizzare le competenze e di poter fare carriera. Le opportunità per farsi strada sono scarsissime e infatti oltre il 60% degli intervistati si dichiara insoddisfatto. Sono soprattutto le donne che patiscono questa condizione, in quanto nel paese di provenienza svolgevano lavori più qualificati.
Motivi di insoddisfazione sono anche il livello di autonomia, cioè la possibilità di lavorare con una buona discrezionalità e di esprimere iniziativa, e gli orari di lavoro.
A sorpresa, considerato il trend crescente in Trentina degli incidenti sul lavoro, gli immigrati esprimono soddisfazione per la salute e sicurezza del luogo di lavoro (il 75% a ''molto'' o ''abbastanza'' soddisfatto). Ma è anche vero che solo un terzo degli intervistati ha ricevuto al momento dell'inserimento in azienda informazioni circa la salute e la sicurezza sul posto di lavoro. E proprio la ''salute e sicurezza del luogo di lavoro'' è messa tra gli aspetti considerati più importanti nel lavoro, assieme alla stabilità del posto (da cui dipende la permanenza in Italia) e alla possibilità di fare il lavoro che piace, ben prima della retribuzione (che é indicata solo al quarto posto).

Fin qui, il punto di vista del lavoratore immigrato. Ma la ricerca ha indagato anche che cosa è importante per il datare di lavoro. Secondo i lavoratori intervistati a contare di più per il datare di lavoro sono le qualità personali (quali l'affidabilità e la buona volontà), mentre è marginale l'esperienza di lavoro e soprattutto il titolo di studio. Affidabilità e buona volontà sono anche i due aspetti maggiormente ricercati dai datori di lavoro.

Quanto alle prospettive per il futuro, quasi un terzo degli intervistati vorrebbe cambiare lavoro, mentre un altro terzo vorrebbe migliorarsi nel lavoro che già svolge.

Un 13% pensa di avviare un'attività in proprio. Oltre il 40% degli intervistati pensa di rimanere in Italia, il 28% è indeciso e altrettanti vorrebbero tornare al proprio paese.

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